A.S.eR.C Associazione studi e ricerche criminologiche
  Etnologia
 

ETNOLOGIA

Con etnologia si intende la disciplina che si occupa della sistemazione, classificazione e comparazione delle raccolte etnografiche secondo criteri di ordine generale. Con etnografia si intende la disciplina che studia la cultura delle popolazioni semplici, dette anche illetterate o ex primitive o, secondo la classica definizione tedesca Naturvolker (popoli di natura).

NASCITA DI DUE DISCIPLINE. La nascita delle due discipline può farsi risalire al periodo in cui in Europa l'interesse per le popolazioni extraeuropee, prima meramente storico o di curiosità, acquisì intenti analitici, e cioè nel periodo illuministico, intorno alla seconda metà del Settecento e segnatamente in Francia e in Germania. Non erano mancate in precedenza riflessioni e riferimenti a popolazioni "altre", così che tra i primi etnologi possono essere annoverati Montaigne, i cui Essais comparvero nel 1588, e, oltre un secolo più tardi, Montesquieu con le celebri Lettere persiane (1721). L'attività di R. de Chateaubriand, B. de Saint-Pierre e Voltaire in Francia, K.W. Humboldt e G. Herder in Germania, costituì una sorta di esordio preetnografico, mentre si ebbe in Francia una precisa data di inizio con la fondazione a Parigi della Societé des observateurs de l'homme (1775), con la quale si iniziò a condurre in termini sistematici e per qualche verso sperimentali lo studio degli uomini non europei, detti allora selvaggi. L'interesse per i "selvaggi" andò allargandosi tra il Sette e l'Ottocento, con l'era coloniale e con i rapporti sempre più frequenti che spagnoli, portoghesi, inglesi, francesi e olandesi stabilivano con le Americhe, l'Indonesia e più tardi l'Africa, con i resoconti di viaggi e di contatti con gli indigeni da parte di esploratori, mercanti, amministratori e missionari, specialmente inglesi. Le notizie sui paesi "altri" trovavano una fertile accoglienza su un terreno dominato dall'illuministica convinzione che l'occidente avesse perduto l'autenticità morale e sociale in conseguenza dell'eccessiva modernizzazione, che lo aveva allontanato dallo stato di natura. Il mito del "buon selvaggio" e l'interesse per la sua condizione si esprimeva come una sorta di rimpianto per un "paradiso perduto" che già nel 1719 D. Defoe aveva rappresentato con l'isola di Robinson Crusoe e con la figura del "selvaggio" Venerdì. Nella seconda metà dell'Ottocento le notizie sulle "società di natura" costituivano ormai cospicue raccolte sulle quali lavoravano studiosi di varia provenienza come i giuristi J.F. McLennan, H.S. Maine e J. Bachofen, il medico A. Bastian, lo psicologo tedesco W. Wundt e gli inglesi E.B. Tylor e J. Frazer

LA RICERCA SUL TERRENO. L'elaborazione e la classificazione del materiale avvenne in un primo momento da parte di ricercatori "da tavolino", ma presto si pose l'esigenza di un diretto contatto degli studiosi con quelle popolazioni e quindi di grandi viaggi di ricerca. Una delle prime spedizioni fu, nella seconda metà dell'Ottocento, quella dello stesso Tylor in Messico. Il passaggio dalla etnologia/etnografia "da tavolino" alla ricerca sul terreno rappresentò il primo affacciarsi di un'esigenza metodologica nello studio delle popolazioni di natura che segnò poi la differenziazione via via più esplicita tra l'etnologia/etnografia e l' antropologia culturale. Mentre la grande maggioranza degli etnologi continuava nella raccolta globale, particolaristica e ordinativa del materiale etnografico (con il conseguente forte interesse museologico) sulla linea di Tylor, gli antropologi culturali riconoscevano l'importanza di quel materiale ma, specie i più avvertiti, cominciavano a intuire che la fenomenologia della cultura, al di là degli aspetti materiali, si identificava con la più complessa struttura della mente umana e con la conseguente azione sociale.

UN RINNOVAMENTO METODOLOGICO. Anche gli etnologi che insistendo nella tradizionale prospettiva etnografica hanno praticamente ignorato, e non di rado avversato, il cammino dell'antropologia culturale verso concetti adeguati alla complessità dei livelli più astratti della fenomenologia della cultura, hanno più recentemente avvertito l'esigenza di un rinnovamento metodologico (P. Salzman, 1990) che sembra destinato a riportarli nell'ambito dell'antropologia culturale. Questo ammodernamento dell'etnologia, che del resto C. Lévi-Strauss aveva indicato già dal 1958 con Antropologia strutturale (ed. it. 1966), preceduto da E. Durkheim, M. Mauss, L. Lévy-Bruhl, appare imputabile anche all'effettiva scomparsa degli autentici "popoli di natura", ma specialmente al fatto che qualunque studioso oggettivo, quali appunto sono anche quelli culturali, vive in un mondo scientifico nel quale vi è sempre minor spazio per la pura descrizione, controparte della semplice comparazione e del culto della mera osservazione diretta o "partecipante". L'antropologia odierna, come Tylor aveva voluto, richiede principi di ordine generale, vale a dire teorie, ipotesi e modelli e, in una parola, tutto l'apparato epistemologico di cui oggi dispone qualunque scienza. Questo significa che la descrizione etnografica costituisce soltanto il primo passo, come l'osservazione partecipante da cui deriva, verso una conoscenza fondata su un processo ininterrotto di spiegazioni.

estratto da: www.pbmstoria.it

 
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