A.S.eR.C Associazione studi e ricerche criminologiche
  Personaggi sadici della storia
 

 

PERSONAGGI SADICI DELLA STORIA

 

                                              Tesina di

Giulia Rocchetti

                            ERZSEBET  BATHORY  

 

                            Congiura o verità?

 

Ritratto storico della più grande serial killer della storia Ungherese accusata di aver torturato e assassinato più di 600 giovani donne.

 

 

      

 

_____________________GILLES DE RAIS

 

 

Precursore del serial killer moderno?

 

Sadico,sodomita,tortura,  stupra e uccide un gran numero di bambini, verosimilmente circa duecento. Creduto incarnazione del male.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima di trattare le loro storie  è necessario fare rapidi accenni al termine Sadismo :

 

Il termine ‘sadismo’ indica una perversione sessuale in cui il soggetto trae godimento dalla sofferenza che infligge agli altri.

Oltre che una perversione, il sadismo può essere anche un tratto del carattere: sadico è infatti chi si compiace del suo essere crudele.

Il termine fu introdotto da Krafft-Ebing, che lo derivò dal nome del marchese de Sade .

Freud ha utilizzato frequentemente questo termine per indicare però cose tra loro diverse: in un primo momento vide infatti nel sadomasochismo una fusione di sessualità e violenza, in un secondo momento ne parlò anche per quanto riguarda l’esercizio della sola violenza, senza implicazioni sessuali.

 Allo stesso modo, in un primo tempo il sadismo fu considerato da Freud un fenomeno primario, capace di convertirsi poi in masochismo, mentre in un secondo momento sarebbe stato il masochismo originario ad essere deviato verso l’esterno sotto forma di sadismo,attraverso la pulsione di morte.



Oggi l’APA (2000) definisce il sadismo sessuale come un insieme di fantasie e comportamenti che si convertono in azioni reali, in cui la sofferenza fisica o psicologica, inclusa l’umiliazione della vittima, è sessualmente eccitante per il soggetto. Il masochismo sessuale viene descritto come fantasie e comportamenti che si realizzano nell’umiliazione  del masochista, che può essere picchiato, legato o fatto soffrire in qualche altro modo.

Ciò che va più di ogni altra cosa messo in rilevo è che c’è una relazione complementare e simmetrica fra sadismo e masochismo, che sono in pratica due facce della stessa medaglia, i due versanti della stessa perversione, le cui forme attive e passive si incontrano nello stesso individuo. Diceva Freud: “Chi prova piacere ad infliggere dolore agli altri in relazioni sessuali è anche capace di godere il dolore come un piacere che da queste può derivare. Un sadico è allo stesso tempo un masochista, sebbene l’aspetto attivo e quello passivo della perversione possa essere in lui più fortemente sviluppato e costituire la sua attività sessuale prevalente”.
La soddisfazione del sadico nel vedere soffrire la sua vittima si spiega, in senso psicodinamico classico, con la sua identificazione con la vittima: il sadico quindi gode nel far soffrire sé stesso. La coppia sadismo-masochismo è considerata da Freud come una delle grandi polarità che caratterizzano la vita sessuale, reperibile nelle coppie attività-passività, maschile-femminile, fallico-castrato.

I dati epidemiologici ci dicono che il sadomasochismo oggi è prevalentemente maschile e che c’è una prevalenza di masochisti rispetto ai sadici. In una ricerca condotta in Finlandia, attraverso l’intervista tramite questionario a 164 uomini di età compresa fra i 21 ed i 51 anni, frequentatori di locali sado-maso (Sandnabba et al.- 1999) si è visto che l’88% di loro praticava sesso tradizionale prima di dedicarsi ad attività sado-masochista. L’età media in cui avevamo preso consapevolezza  di questi desideri era intorno ai 18-20 anni, la prima esperienza intorno ai 21-25 anni, nella maggioranza dei casi valutata come un’esperienza positiva. Si è visto che la preferenza sadica o masochista può cambiare nel corso della vita: in genere passando dal masochismo al sadismo.

Dal punto di vista clinico il quadro più grave è quello del sadismo sessuale associato a Disturbo Antisociale di Personalità, perché in questo caso il soggetto potrebbe cercare partners non consenzienti e provare piacere nel controllo della vittima, terrorizzata dall’atto sadico imminente.
In un altro studio (Nordling e coll. 2000), sempre condotto in Finlandia presso club sado-maso sono stati intervistati 186 uomini e donne di età media fra i 30 ed i 35 anni. 18 di loro hanno dichiarato di essere stati sessualmente abusati; di questi soggetti abusati, in particolare le donne, erano più coinvolte in atti masochistici delle donne non abusate.
Le interpretazioni moderne ricalcano più o meno quelle classiche freudiane, cioè che vi sia un’identificazione del sadico con la sua vittima, per cui punendo l’altro punisce in realtà sé stesso. Il masochismo potrebbe invece essere spiegato con un bisogno di arrendersi di fronte alle richieste sociali di prese di posizione e di responsabilità (si dice infatti, sebbene non sia stato dimostrato, che siano spesso gli uomini potenti a cercare questa forma di soddisfazione ‘atipica’), oppure una dimostrazione di forza nel riuscire a sopportare il dolore, da parte di chi ha bisogno di avere questo tipo di conferme per la sua autostima.
[1]


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Erszebet Báthory (Alzbeta Batoriova Nadasdy in slovacco e Erszebet Bathory in ungherese)

Sadica, lesbica, torturatrice, praticante di magia nera. A tutt’oggi la maggiore serial killer della storia della Slovacchia e dell’Ungheria ( 610 vittime ) .

                                    

Data di nascita:

7 agosto,1560

Luogo di nascita:

Nyírbátor Regno d'Ungheria oggi in Ungheria

Data di Morte:

21 agosto, 1614

Luogo di morte

Čachtice Regno d'Ungheriaoggi in Slovacchia

Consorte:

   Ferenc Nádasdy 

Figli:

Anna Nádasdy,Ursula Nádasdy,Katerina Nádasdy, Paolo Nádasdy

CRONOLOGIA[2]

La cronologia che segue serve a darvi un quadro generale  per aiutarvi nella comprensione degli avvenimenti argomento di questa tesina  riguardante la vita di Erzsebet Bathory dalla sua nascita “ad oggi”.

ANNO

                           

1560

Dal matrimonio del conte Gyorgy Bathory – Ecsedy  con Anna Bathory – Somlyoi, cugini, nasce la contessina Erzebeth. Gyorgy per poter sposare la cugina rinunciò formalmente a tutti i privilegi principeschi.

1561 -1568

Erzsebet trascorre l’infanzia fra lo sfarzo del castello ungherese del padre

1569

Erzsebet viene ufficialmente promessa in sposa al tredicenne conte Ferenc Nadasdy.Il matrimonio viene combinato dai rispettivi padri affinché la favolosa eredità della famiglia Dragffy , di cui i due rampolli sono casualmente beneficiari, non vada dispersa.Ferenc è il rampollo di una delle famiglie più famose dell’ungheria e il padre Tamas è l’aristocratco più potente del regno.

1571

Erzsebet  si trasferisce nel castello di Sarvar , residenza principale della famiglia Nadasdy, affichè impari le usanze e gli obblighi imposti dal complesso cerimoniale della sua futura famiglia. A differenza delle donne d’epoca, Erzsebet sa leggere e scrivere in ungherese , latino e greco. La sua formazione culturale è decisamente superiore a quella delle donne dell’epoca : basti pensare , che la potentissima contessa Kanizsai , sua futura suocera era totalmente analfabeta e priva di qualunque formazione culturale.

1573

Mentre il marito completa la formazione presso i migliori istituti religiosi di Vienna, Erzsebet intreccia una relazione con il nobile Laszlo Bende , da cui, secondo fonti ebbe un figlio illegittimo.

1575

( 8 maggio )

Dopo 4 anni di fidanzamento Erzsebet e Ferenc si sposano. Tra i regali ricevuti dal marito Erzsebet riceve il castello di Cacthice con i 17 villaggi vicini.

1585

Dopo 10 anni di matrimonio nasce Anna

1595

Presso la piccola corte della contessa viene assunta una certa Anna , detta “Darvulia” che verrà accusata di essere stata la vera ispiratrice dei futuri delitti della contessa.

1598

Erzsebet partorisce il figlio maschio Pal

1601

( marzo )

A Bratislava Ferenc viene colpito da una grave malattia che lo colpisce agli arti inferiori.

1603

La salute di Ferenc peggiora gravemente.

1604

( 3 gennaio

Ferenc muore e Erzsebet come tutrice di Pal erede maschio, diventa incontrastata signora dei poteri e delle ricchezza Nadasdy.

1605

Anna, la figlia maggiore si sposa

1606

A seguito di un’invasione in alcuni suoi territori da parte delle truppe del conte Banffy, Erzsebet gli scrive queste parole : “So, mio buon signore, che avete occupato i miei piccoli possedimenti, perché siete povero, ma non pensiate che io ve li lasci godere in pace. Troverete in me un uomo.” Questa lettera prova quanto la contessa fosse di carattere forte e assolutamente consapevole della sua posizione di privilegio nell’aristocrazia ungherese. Sarà proprio questa condizione la causa dei suoi guai giudiziari.

1607

Gabor, il nipote della contessa viene eletto Principe di Transilvania. Viene escluso il conte Thurzo che giura così vendetta alla famiglia Bathory.

1609

 

Thurzo viene eletto Conte Palatino D’Ungheria e ora i suoi poteri sull’ aristocrazia ungherese sono pressoché illimitati.

 

1610

 ( 6 gennaio )

Kata , figlia minore di Erzsebeth si sposa

( 5 marzo )

Thurzo deciso a colpire duramente i Bathory per impossessarsi di parte dei loro possedimenti , ordina la prima inchiesta contro Erzsebet. L’oggetto è l’infamante accusa basata su decine di denunce anonime che la accusano di torture inflitte a giovani ragazze appartenenti ad alcune nobili famiglie ungheresi.

( 22 marzo )

Vengono ascoltati numerosi testimoni. La lettera inviata da Thurzo alle corti delle diverse contee contiene per la prima volta l’esplicita accusa ai misfatti per i quali Erzsebet è stata accusata. “ Diverse fanciulle e vergini e altre donne sono state uccise in vari modi , le quali si trovavano nei suoi appartamenti”

( 7 giugno )

I due generi della contessa si incontrano segretamente con Thurzo per trovare il modo di non rendere pubblica questa accusa contro la potente suocera.

( 19 agosto )

Erzsebet accompagna personalmente una nobildonna di nome Hernath presso la corte di Vasvar affichè testimoni che la giovane figlia non è morta per le violenze subite durante il periodo di servizio presso di lei ( come affermato da alcuni testimoni fidati di Thurzo ) , ma di morte naturale.Questo prova che nonostante la segretezza delle indagini Erzsebet fosse a conoscenza delle accuse rivolte verso di lei. La testimonianza della donna non viene presa affatto in considerazione.

( 3 settembre )

Erzsebet in preda all’incertezza sulla sua sorte redige il suo testamento. Tutti i suoi averi sono destinati al figlio Pal.

( fine ottobre )

Erzsebet ordina che tutti i suoi gioielli vengano portati nel castello di Cachtice in Slovacchia che decide essere la nuova dimora per la sua corte.

( 4 novembre )

Erzsebet chiede aiuto a suo nipote Gabor per inviarle dei documenti riguardanti la legittimità dei suoi possedimenti. Ormai la contessa sa di essere in pericolo e prepara la sua difesa.

( 12 novembre )

Il conte Zinry, suocero di Erzsebet scrive a Thurzo dichiarandogli la sua fedeltà. La contessa è sempre più sola.

( 30 dicembre )

Thurzo si reca a Cachtice e , radunati gli abitanti del villaggio, fa irruzione nel castello , trovandovi ( a suo dire ) la contessa intenta a torturare le sue vittime.Erzsebet viene arrestata dai soldati di Thurzo e rinchiusa nei suoi appartamenti. Vengono arrestati ed interrogati ( dopo essere stati torturati ) anche i 4 fidati servitori della contessa : Jo Ilona, Dorkò, Kata e Ficzkò.

1611

( 7 gennaio )

Si riunisce il tribunale per processare i servi della contessa. La sentenza viene emanata la sera stessa: 3 servitori vengono bruciati vivi sul rogo . Si salva solo Kata dal rogo di cui però non ci è dato sapere la fine. Per la contessa , ritenuta colpevole, di rango troppo elevato per essere giustiziata, viene richiesta la carcerazione a vita.

( 14 gennaio )

Thurzo riceve da Mattia II l’ordine di formulare una nuova inchiesta. Molto probabilmente aveva ricevuto altre notizie riguardanti la vicenda, ma non volendo inimicarsi Thurzo che lo aiutava nei difficili rapporti con l’aristocrazia ungherese, non gli diede torto totalmente.

( febbraio )

Si riapre l’inchiesta, vengono ascoltati 224 nuovi testimoni.

( 17 aprile )

Il re Mattia, ricevuti gli atti della nuova inchiesta, controfirma la sentenza di carcerazione a vita.

( 17 dicembre )

Si conclude l’ultima inchiesta ufficiale con la conferma ufficiale di tutti i capi d’accusa . Si tratta dell’interrogatorio di 12 testimoni appartenenti a famiglie nobili , quindi ritenuti assolutamente degni di credibilità. Erzsebet viene nuovamente accusata di aver torturato oltre 600 giovani donne praticando le torture più cruenti , dal taglio dei genitali all’ustione delle mani. La contessa viene ufficialmente accusata di omicidio plurimo ed irrevocabilmente condannata alla reclusione a vita nel castello di Cachtice.

1612

( 16 febbraio )

Il conte Forgach , giudice supremo d’Ungheria, scrive una lettera al Conte Thurzo pregandolo di impedire a sua moglie di tornare al castello di Cachtice con lo scopo di depredare i forzieri della contessa Bathory . In gennaio,infatti, la moglie di Thurzo si era più volte recata presso la prigioniera con lo scopo di sottrarle alcuni gioielli, la cui vendita le avrebbe permesso di pagare le elevatissime spese per il matrimonio della figlia.

1614

( 25 agosto )

Dopo 3 anni di reclusione nel suo castello Erzsebet Bathory muore.

( novembre )

Erzsebet viene seppellita nel cimitero della Parrocchiale di Cachtice.

1617

Stando ad alcune testimonianze , il cadavere della Bathory  viene riesumato e traslato presso la cripta della famiglia Nadasdy in Polonia.

1839

John  Paget pubblica in Gran Bretagna il resoconto dei suoi viaggi in Europa in cui compare un capitolo dedicato alla storia della contessa

1854

Il reverendo inglese Sabine Barino – Gould  accenna al personaggio Erzsebet nel suo noto “ Book of Were – wolves” (libro dei lupi mannari)

1894

A Breslavia Ferdinand Strobl von Ravelsberg pubblica (sotto lo pseudonimo di R.A. von Elsberg  il saggio : “ la contessa sanguinaria Erzsebet Bathory : uno studio sul carattere e sul comportamento”

1932

Lo scrittore slovacco Niznansky inizia la pubblicazione del romanzo a puntate “la signora di Cachtice”. La Slovacchia viene a conoscenza nella propria storia di un personaggio degno dei migliori romanzi gotici inglesi.

1938

( 7 luglio )Viene aperta la cripta dei Bathory nel cimitero di Cachtice : non si trova traccia del cadavere della contessa.

1962

La scrittrice Valentie Penrose pubblica a Parigi “ La contessa sanguinaria” , monumentale romanzo storico che celebra le gesta della contessa.

1968

La scrittrice argentina Pizarnik scrive un racconto intitolato “ Acerca de la Contessa Sagrienta” che narra le vicende di sanguinaria contessa europea vittima di manie masochiste.

1970

La Hammer film produce la pellicola “Countess Dracula” ( la morte va a braccetto con le vergini) diretta da Peter Sasdy

1971

Henry Kumel dirige “La vestale di Satana”, pellicola horror – erotica vagamente ispirata al personaggio della contessa Bathory vista in chiave moderna

1973

Jorge Grau gira in Spagna “ Cerimonia Sangrienta” distribuita in Italia con il titolo: “ le vergini cavalcano la morte” che vede nel ruolo della Bathory Lucia Bosè.

1974

Il regista polacco Borowczyk gira in Francia “I racconti immorali”. Nel terzo episodio, “Erzsebet Bathory” il ruolo della contessa è affidato a Palma Ricasso.

1975

Sulla scia del libro della Penrose sempre a Parigi , Perissèt pubblica il racconto “ Comtesse de Sang”

1983

Raymond T. Mc Nally scrive il trattato storico  “ Dracula was a woman. In search  of the Blood Countess of  Transilvania”

1994

In Gran Bretagna  lo scrittore americano di origine rumena Andrei Codrescu  pubblica il libro di successo : “ The Blood Countess”

1995

Vengono aperte le tombe dei Bathory in Polonia : anche qui nessuna traccia del cadavere della contessa Erzsebet.

 

Nyirbator 7 agosto 1560.

 

Regno D’Ungheria, oggi attuale Ungheria.

 

Nasce Erzsebet , successivamente soprannominata e conosciuta come “contessa dracula” e “contessa sanguinaria”, discendente di una delle più antiche e nobili famiglie Ungheresi, nipote del re di Polonia e che annovera fra i suoi antenati giudici,vescovi, cardinali re ed eroi  tra cui l’eroe nazionale che combattè al fianco del Conte Vlad Teples “l’impalatore”[3] per la riconquista della Valacchia.

 

La famiglia dei Bathory era una delle più ricche e illustri nobili casate europee. Le sue origini risalgono circa al XIII secolo. Il nome deriva dal possedimento ungherese di Bàtor, che la famiglia deteneva. Nel XIV secolo i Bathory si divisero nel ramo dei Somlyò, sostenitore dell’indipendenza dell’Ungheria e della Transilvania, estintosi nel 1613, e quello di Ecsed, filoaustriaco, estintosi nel 1605. (da: Lukha Kremo Baroncinij aprile 2003)

 

 

Già l’infanzia vede muoversi, tra le stanze del castello paterno,  una bimba con evidenti segni di squilibrio e che rapidamente passa da tranquillità a ira, soffre di violenti mal di testa e lunghi stati catatonici.

Ma non sono questi  comportamenti estranei alla famiglia Bathory dove, a causa di una decennale consanguineità, non mancano malattie mentali ,schizofrenia ,epilessia che si vanno ad aggiungere ad alcolizzati, sadici , assassini ed omosessuali ( giudicati all’epoca dei criminali).

Il padre, come da documenti, è  un adoratore del male , la madre una lesbica che pratica stregonerie di ogni genere, il fratello maggiore vive di  pulsioni sessuali fortissime al limite della perversione.

 

Per tutta la sua vita, fin dall’infanzia soffre di atroci emicranie ed è vittima di improvvisi svenimenti -  a causa probabilmente di attacchi epilettici – a cui subentrano stati molto vicini all’estasi mistica, ma all’epoca questi malesseri sono considerati possessione demoniaca anche perché a tutti è  noto che un suo zio con cui visse per un certo periodo di tempo, l’ha  introdotta al culto del demonio.

A questo tipo di conoscenza si aggiunge anche l’assidua frequentazione con la  zia Karla, nota lesbica ungherese che le insegna i piaceri della flagellazione e altre perversioni.

Erzsebet  non ha nemmeno mai disdegnato, da testimonianze delle serve e sue lettere alla stessa zia,  di seguirla nella camera da letto e di non aver disdegnato nemmeno  orge lesbiche nella sua adolescenza . Anche dopo il matrimonio, oltre ad uno svariato numero di amanti (tra cui un contadino a cui fa addirittura conferire un titolo nobiliare dal marito) incomincia ad intrattenere relazioni lesbiche con due delle sue donzelle. Si racconta anche che “una sera fu affascinata dallo splendore di una sua cugina.[…]tutto le spinse l’una verso l’altra. Non si lasciarono nemmeno quando sopraggiunse la notte”  [4]

Nel corso del processo alla Contessa due uomini testimoniano che una donna misteriosa in vesti maschili fa spesso visita ad Erzsebet e che un giorno una serva involontariamente scopre le due donne in atto di torturare una ragazza ormai irriconoscibile  in volto per tutto il sangue perso.

 

La sua infanzia è stata assai breve, all’età di 11 anni si fidanza con Ferenc Nadasdy di 7 anni più grande di lei e si trasferisce  dalla casa materna a quella del futuro marito.

E mentre lui è lontano, a Vienna per terminare gli studi , come si confà ad un ragazzo del suo rango, lei vive e viene educata ai rigori dell’aristocrazia dalla futura suocera. Si sposano poi al compiemento del suo quindicesimo anno.

 

Appena sposata si trasferisce nel castello di Cachtice, nella zona nord-occidentale dell’Ungheria,un castello rozzo e solido che sorge sulle roccie dei Carpazi, costruito per far fronte agli attacchi del nemico, dove vive per la maggior parte del tempo da sola visto che il marito è per lo più lontano a causa della guerra. Ha  l’occasione di vedere il marito poche volte durante la sua vita  ma lui , come del resto i suoi parenti non è estraneo alle sue inclinazioni sadiche che comunque sia mantiene  piuttosto sotto controllo fino a quando il marito non muore, già malato a seguito di una ferita di guerra , ma ucciso da una prostituta a cui doveva del denaro.

 

Nelle sue giornate si diletta di alchimia, organizza “festini” nei quali soddisfa i suoi capricci sessuali con uomini e donne indistintamente, si cambia di abiti più volte al giorno , si rimira negli specchi più volte al giorno vittima di esasperato narcisismo, ma soprattutto, quando troppo annoiata o nervosa, tortura le domestiche per divertirsi.

 

Da rimproveri, punizioni o schiaffi la scalata  a torture sempre più macchinose è rapida.

Le sue turbe e le sue perversioni  provengono sicuramente dall’infanzia.

All’età di circa 6 anni un evento colpì sicuramente la piccola Erzsebet , dopo uno spettacolo di zingari presso il suo palazzo uno di loro  venne incolpato di aver venduto i suoi figli ai turchi e pertanto condannato a morte.

All’epoca le condanne a morte erano tutt’altro che rapide, la morte giungeva dopo lunga agonia o tortura.

Le grida del poveretto riecheggiavano nella vallata e tra le stanze del castello.

La piccola fuggì all’alba dal castello per assistere alla scena di nascosto.

Vide così  i soldati che avevano tagliato il ventre di un cavallo legato a terra e vi avevano infilato dentro il condannato, cucendocelo dentro e  lasciandogli fuori solo la testa in attesa della sua morte.

Oltre questa scena che sicuramente toccò la mente di una bimba già piena di turbe per natura si aggiunga che , secondo testimonianze, aveva subito spesso le violenze sessuali del nonno.

 

Aghi e spilli sono ferri tipici del mestiere , li utilizza per ferire le serve , per  forare labbra e capezzoli delle vittime compiacendosi per il loro dolore.

Le piace poi morderle ovunque fino a far fuoriuscire il sangue.

Si diverte nell’umiliarle, cospargerle di miele ed esporle all’assalto di formiche ed api legate agli alberi del giardino, a far loro raccogliere nude fascine all’aperto davanti agli occhi di tutti.

 

Le sue vittime provengono  dai villaggi vicini, in quest’epoca di estrema povertà per le famiglie sapere le proprie figlie al servizio di una nobil donna e con il pasto sicuro ogni giorno, è  qualcosa da  sperare e di cui essere grati.

 

A “reclutare” le poverette si fa aiutare da fedeli aiutanti: la vecchia balia Ilona Jo, una donna di grande corporatura e molto forte che cresce tutti i figli di Erzsebet,  e ne soddisfa tutti i capricci fino a portarle con la forza le fanciulle da mordere fino a letto quando lei è troppo stanca o con troppa emicrania per potersi alzare e da Dorka , Dorottya Szentes, una donna alta , magrissima e fortissima, brutta, con i denti tutti rovinati.

La contessa bella e profumata, sempre attenta al suo aspetto estetico gode però nell’accompagniarsi da queste due donne brutte , sporche e maleodoranti, compagne di ogni sua depravazione e che senza batter ciglia l’aiutano a dare sfogo a qualsiasi genere di depravazione.

Utilizza un vocabolario che le donne del suo rango utilizzano di rado, durante le crisi di erotismo sadico. Durante  le torture parla e grida mentre Dorkò e Ilona tengono immobili le malcapitate.

 Dopo aver torturato le ragazze fino alla morte la prima ripulisce  ed asciuga il sangue per poi cedere il passo  al tutto fare Ficzkò incaricato di portare via i cadaveri , di portarli nei sotterranei o di seppellirli nel giardino o appena fuori del castello.

Dorkò la introduce nel corso degli anni alla magia nera , le insegna a preparare filtri di bellezza che hanno la capacità di  protrarre il più possibile la sua giovinezza e la sua bellezza. E oltre alle stregonerie si Dorkò  faceva arrivare dai boschi “streghe” periodicamente per avere nuove “consulenze” e nuove pozioni.

 

E cos’ negli anni, nelle segrete del castello, dove tiene anche alcune  ragazze prigioniere in attesa del loro momento o a morire di stenti o per le ferite subite,  si avverano  i suoi più torbidi desideri.

 

Le due fidate serve legano mani e piedi della ragazza, molto strette, poi con un bastone la battono molto forte fino a quando la pelle stessa si stacca, Dorkò strappa loro le dita con delle pinze e fora poi le vene per far scorrere via il sangue per la sua padrona a cui piace fare bagni di sangue con l’idea di ringiovanire e curare la pelle. A questo si aggiungono altre torture: viene riscaldato un attizzatoio sul fuoco e con quello e delle candele bruciano viso, naso,interno della bocca o  peggio gli organi genitali.

 Durante l’inverno spesso costringe gruppetti di sartine a rimanere immerse nella neve nude per una nottata intera mentre vengono bagnate con acqua gelida e a chi sopravvive seguono  le torture all’interno del castello.

 

 

Ma ben presto,  le campagne vicine si svuotano di giovinette che non fanno più ritorno a casa e ben presto il vociare su quanto accade nel castello si fa sempre più forte.

 

Le sue perversioni non cessano mai. La contessa difatti non tortura ragazzine solo quando è  nel suo castello di Cachtice dove si trasferisce subito il matrimonio, ( a seguire foto di quel che è rimasto del castello )

 

   panoramiche

 

 

 mura

,  mura

 

 la torre

   la torre dove è stata rinchiusa

 finestra del castello

 

 Foto Copyright by Dennis Báthory-Kitsz

 

ma anche nelle sue altre numerose residenze e addirittura durante i viaggi in carrozza.

Si racconta che una volta portò con sé addirittura una ragazza che aveva già iniziato a torturare nel castello, la fece coricare mezza morta nella carrozza per continuare le torture durante il viaggio qualora si fosse annoiata; la ragazza riprese lentamente le forze e in un momento in cui la carrozza si fermò per far riposare i cavalli e per far muovere un po’ le gambe alla contessa, la ragazza riuscì a scappare nei boschi, ma la sua corsa durò poco , le due “aiutanti”  la rincorsero la ripresero , la riportarono alla carrozza dove la Contessa la uccise in poco tempo.

Per lei le torture sono una vera e propria droga, non può farne a meno e il desiderio arriva improvviso in qualunque momento della giornata e arriva il più delle volte mosso da un attacco d’ira.

 Una delle serve, sfigurata in viso, racconta al processo che stava pettinando la contessa come sempre, ma trovò un nodo nei suoi lunghi capelli neri così per scioglierlo le fece male, questa si infuriò e prese a picchiarla in viso con la spazzola fino a quando non la sfigurò completamente… si dice che fu in questa occasione che la contessa si convinse che il sangue di vergine portava all’eterna giovinezza, infatti con le mani sporche di sangue alla contessa sembrava (forse per un gioco di luci o per convinzione mentale di Erzsebet) che la sua pelle fosse più luminosa e più liscia, quindi più giovane: si documentò su questo fatto nella biblioteca del castello e si convinse che alcuni rituali col sangue di vergine l’avrebbero ringiovanita.

 

 Con sé porta sempre il suo “kit” del massacro: pinze d’argento concepite per strappare la carne, aghi spilli, ferri per marchiare le carni, attizzatoi da arroventare e passare ovunque, forbici, fruste.

 

Ma tra i suoi macchinari più “interessanti” che porta spesso anche nei suoi viaggi c’è una gabbia cilindrica con spunzoni di ferro . “..il congegno , un manichino di legno a forma di donna , viene installato nella sala sotterranea del castello […] un meccanismo le fa aprire la bocca in un sorriso crudele , scoprire i denti e muovere gli occhi . Sul petto porta una collana di pietre preziose. Toccando alcune di queste pietre la si mette in azione. […] ne escono cinque pugnali affilati che trafiggono lentamente […] il sangue delle fanciulle uccise, raccolto in un condotto che porta ad una specie di vasca riscaldata, va a finire, come ormai d’abitudine, sulle spalle nude della contessa…” (da : Elisabeth Bathory La Torturatrice di Angelo Quattrocchi – Malatempora ).

Una ragazza nuda viene  costretta ad  entrarvi e viene lasciata lì fino a quando per la stanchezza - prima forse della fame e della sete - si lascia cadere sulle punte.

Oppure, ancora più atroce, la gabbia con la ragazza al suo interno viene tirata sù e dal basso con tizzoni ardenti lei e i servi le bruciano i piedi costringendola a spostarsi e a finire contro le punte.

 

- Foto di alcuni oggetti di tortura usati dalla Contessa:

 

 

 

Foto  by  Copyrights Dennis Báthory-Kitsz

 

 

Dai villaggi vicini al castello, dopo alcuni anni, la sua ricerca di ragazze si sposta .

 

Decine di ragazza salgono la rampa fino al castello senza più riscendervi.

 Sono tutte ragazze  poverissime , non si avvicina, per lo meno per molto tempo alle figlie della borghesia , della nobiltà e ancor peggio dell’aristocrazia.

Solo negli ultimi anni cominciano a sparire delle giovinette di buona famiglia e tra le chiacchiere dei contadini, dei frati del convento di fronte che sentono urla inumane durante le notti e di alcuni nobil uomini che dubitano di quello che accade nel castello si inizia a parlare di lei e di “giochi particolari” con le serve.

 

E’ chiaramente però la nipote  del re di Polonia, Stefano Bathory,  appartiene ad una delle più antiche e nobili famiglie dell’Ungheria pertanto “intoccabile” è necessario coglierla in “flagranza di reato” per poterla accusare.

Viene tuttavia incaricato il conte Thurzo (amante passato della stessa Erzsebet) di indagare difatti  voci arrivano fino al re Mattia II d’Austria che già sospettava qualcosa di orribile su quel posto ma che fino ad ora non ha avuto un buon pretesto per agire.

.E’ il 30 dicembre del 1610 .Le truppe di Thurzo invadono il castello,quando entrano si trovano di fronte ad uno spettacolo agghiacciante: una ragazza morta nella stanza principale, prosciugata del suo stesso sangue, ed un'altra viva ma dal corpo letteralmente traforato. Nei sotterranei scoprono molte giovani donne imprigionate e, sepolti sotto la pavimentazione, i corpi di almeno altre cinquanta ragazze.

 In seguito si arriverà a calcolare il numero di 610 corpi.

 Elizabeth viene arrestata e processata. Si rifiuta però di dichiararsi colpevole o innocente e non  è mai presente al processo, sdegnosamente nega di rivelare i contenuti dei suoi segreti rituali.

Di questo processo viene realizzata una trascrizione documentale, ancor oggi consultabile negli archivi della biblioteca nazionale ungherese.

 
Il maggiordomo della contessa Bathory testimonia che circa trentasette ragazze sono state assassinate, sei delle quali egli aveva personalmente assunto per lavorare al castello.

 Le vittime vengono legate e moncate con forbici e coltelli.

 La vecchia balia di Elizabeth Bathory testimonia che circa quaranta giovani sono state torturate ed uccise.

Tutte le persone coinvolte negli omicidi, tranne la Contessa Bathory, vengono decapitate e cremate, e due complici vengono bruciate vive.

 La contessa Elizabeth non viene condannata. Viene tuttavia ordinato che le porte e le finestre della sua camera da letto vengano murate con lei dentro, lasciando solo un foro dal quale far passare il cibo.

 Nel 1614, dopo tre anni di questo regime particolare di arresti domiciliari, una della guardie si accorge che la contessa giace a terra: Elizabeth Bathory, la Contessa sanguinaria, è morta e si è portata nella tomba (e magari anche oltre) i segreti dei suoi rituali e il peso di una dannazione che il genere umano continua, a distanza di tanti secoli, a lanciare su di lei e sulle sue efferatezze.

 

Ecco qui alcuni pezzi tratti dal processo; questa è la confessione di Janos Friczko  resa al tribunale il 2 gennaio del 1611: “Andai per sei volte con la signora Dorko in cerca di ragazze. Alle ragazze veniva promesso che sarebbero diventate mercantesse o serve da qualche parte. L'ultima ragazza morta veniva da un villaggio croato nei pressi di Rednek. Venne portata da Dorko in presenza della padrona che la fece uccidere. Torturavano nel modo seguente: legavano braccia e gambe delle ragazze con spesse corde viennesi. La donna che si chiamava Anna Darvulia, che viveva al castello di Sarvar, legava loro le mani dietro la schiena... Ah quelle mani del colore della morte! E venivano picchiate finché non si laceravano loro le carni. Le palme delle mani e le palme dei piedi le battevano tanto (con cinquecento colpi almeno). La signora Darvulia poi tagliò loro le mani e la lingua con grosse forbici. Le vecchie megere seppellivano i cadaveri qui a Cachtice. Io stesso le aiutai. Quando le serve uccidevano una delle ragazze, la padrona portava loro dei regali. A Beckov faceva torturare le donne nell'edificio della fornace. A Sarvar torturavano nella parte più interna del castello, dove a nessuno era permesso sostare. A Keresztur torturavano nelle stanze private della padrona. A Cachtice nella fornace. Quando era in viaggio la padrona torturava le ragazze nella sua carrozza: le picchiava e le pungeva sulle cosce con degli aghi.”

Questa invece è la confessione della serva Ilona Jo resa al tribunale in data 2 gennaio 1611: “In casa della contessa si versò molto sangue, tanto che spesso ella fu costretta a cambiarsi di abito, tanto che le sue vesti ne erano zuppe. Quando in presenza della padrona la signora Dorko picchiava le ragazze, il sangue ne usciva così generoso che sul pavimento dovevamo spargere cenere o crusca affinché venisse assorbito”.

 

Questa è la confessione della serva Dorottya Szentes, detta Dorko, resa al tribunale il 2 gennaio 1611: “Ho aiutato la Signora a picchiare le ragazze. Se non l'avessi fatto, lo avrebbe fatto lei e avrebbe trafitto loro le labbra con spilloni, ustionato le piante dei piedi con cucchiai roventi e tormentato le carni con le pinze. Una volta, la Signora, troppo malata per farlo di persona, mi ordinò di portarle le ragazze vicino al letto e poi si mise a strappare loro con i denti grandi brani di carne dalla faccia e dalle spalle.”

 

 

 

 Molti artisti del mondo della musica, del cinema e in quello della letteratura si sono ispirati a questa macabra storia, come per “Elizabeth Bathory: la torturatrice” di Quattrocchi Angelo, invece nel 1854 Sabine Baring-Gould accenna alla contessa in un libro sui lupi mannari. Per quanto riguarda il cinema è stato girato nel 1970 da Peter Sasdy il film "Countess Dracula" (La morte va a braccetto con le vergini). Per quanto riguarda la musica le citazioni sono tantissime, tra le più importanti ricordiamo la black metal band Bathory che prende il nome da questa contessa o la canzone Coutess Bathory dei Venom o ancora il concept album Cruelty And The Beast dei Cradle Of Filth che racconta tutta la storia della contessa sanguinaria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note [5]:

  • Alcune correnti storiografiche asseriscono che la Contessa non fosse colpevole dei reati di cui fu imputata, ma che fosse vittima di una congiura politica.
  • La contessa divenne estremamente potente alla morte del marito Ferenc Nadasdy. A seguito del decesso del marito divenne amministratrice dei beni del figlio di soli sei anni.
  • La contessa acquistò ancora più potere quando nel 1607 il principe Gabor Bathory, nipote della contessa Erzsebet, venne eletto Principe di Transilvania. Tale elezione fu a scapito del potente conte Gyorgy Thurzo.
  • È stato ipotizzato che la congiura ai danni della contessa fu organizzata dallo stesso Thurzo, divenuto Conte Palatino d'Ungheria nel 1609, che il 5 marzo 1610 ordinò l'inchiesta iniziale contro Elizabeth, sulla base di alcune denunce anonime. Ad approfittare dell'occasione fu il sovrano d'Ungheria Mattia II, il quale vide nel "processo Bathory" la possibilità di confiscare l'imponente patrimonio della famiglia della Contessa e ridimensionare l'influenza politica della sua famiglia. Fu il re a firmare il decreto di prigionia per la contessa, obbligandola alla fissa dimora in un luogo rinchiuso, per soddisfare le impellenti richieste delle famiglie delle vittime uccise e dissanguate.

Influsso culturale

Musica

 

 

Altro

  • Il videogioco per PC Diablo II fa riferimento a questo personaggio in una quest durante il gioco, infatti si deve sconfiggere una malvagia Contessa che venne murata viva dopo essersi fatta il bagno nel sangue di cento vergini per rimanere giovane.
  • nel film del 2005 Stay Alive il gioco è basato sulla terribile contessa Bathory che uccide i giocatori
  • nel gioco MMORPG online Ragnarok c'è un mostro che è una strega a cavallo di una scopa di nome Bathory
  • rappresentazione di Erzsebet in un dipinto in mostra nel Museo Nazionale a Bucarest:

 

·          IL 10  LUGLIO 2008 USCIRA’ IN  LINGUA ORIGINALE ( E NON IN ITALIA ) IL FILM “BATHORY” DEL REGISTA

Juraj Jakubisko

http://www.ceskatelevize.cz/specialy/bathory/

BIBLIOGRAFIA:

  • Elizabeth Bathory :  la torturatrice  di Angelo Quattrocchi – 2005, 93 pp , Malatempora
  • La Contessa sanguinaria – di Valentine Penrose – 1962, 212 pp, Biblioteca dell’eros
  • Dizionario dei Serial Killer – Michael Newton – 2000, 490 pp, Newton e Compton editori

SITO WEB : http://www.bathory.org

GILLES DE MONTMRENCY-LAVAL

Barone di RAIS

  detto Barbablù

 

Nascita:  Machecoul, 10 (?) settembre 1404

Morte: 26 ottobre 1440

 

Il conte Gilles de Rais, un eroe, maresciallo di Francia a soli 25 anni, ha pagato con l'impiccagione le sue efferate scelleratezze. Non è un personaggio di fiaba ma il protagonista di una vicenda scritta nei documenti giudiziari

 

Sadico, sodomita, pedofilo, stupratore,torturatore,pratica occultismo e vampirismo.

Rais nacque nel 1404 a Machecoul. Quando Gilles de Rais viene al mondo, nel 1404, la Francia é impegnata verso l'esterno nella Guerra dei Cento Anni con l' Inghilterra e al suo interno é scossa dalle convulsioni dell'agonia del sistema feudale. I duchi e i baroni sono impegnati nelle loro guerre reciproche o nelle loro contingenti alleanze contro il re, figura opaca di un potere centrale debole. La popolazione é stremata da uno stato di guerra praticamente infinito, di guerre sempre meno cavalleresche e sempre più apportatrici di carestie ed epidemie. La Chiesa, custode dell' ordine morale, é a sua volta infettata da vescovi tanto insipienti quanto feroci, occupati ad accumulare ricchezze a cui spesso si oppongono predicatori che, consci del disfacimento, predicano una religiosità sempre più cupa ed angosciosa, molto più vicina alla morte di Cristo che alla sua Resurrezione.

La guerra é pratica quotidiana, ma é difficile stabilire gli schieramenti in una guerra totale, che ha stimmate di furore cieco e gratuito. La guerra é anche e soprattutto un affare, una fonte di guadagni, per chi non ha mai saputo fare altro. E i capitani più capaci hanno ottenuto dai Ioro condottieri la ricompensa più ambita: oltre alla paga, hanno il diritto di duplice bottino, di cose e di uomini. Anche se la legge cristiana non consente più la schiavitù, il riscatto diviene una pratica lucrosa e corrente in cui l'unica regola comunemente accettata é che venga eseguito rispettando le divisioni di casta che, nello sfacelo generale, resistono e collaborano, con la loro intrinseca carica di sopraffazione, a deteriorare ancor di più il clima morale Fu un bambino di brillante intelligenza, con spiccate capacità nel latino

. A soli undici anni rimase orfano di entrambi i genitori (la madre morì di malattia ed il padre ucciso da un cinghiale durante una battuta di caccia), e fu affidato al nonno materno, Jean de Craòn.

 Nel 1420 visse alla corte del Delfino, futuro Carlo VII.

Jean de Craòn provò a farlo sposare con Jeanne de Paynol, una ricca ereditiera, ma senza successo; fu un fallimento anche il tentativo di matrimonio con Beatrice de Rohan, nipote del duca di Bretagna.

Infine riuscì nell'intento di accrescere le ricchezze di Rais facendogli sposare un'altra ereditiera, Catherine de Thouars, dopo averla rapita.

 

  Lo stemma di Gilles de Rais.

Dal 1427 al 1435, Rais fu comandante nell'esercito reale e prestò servizio anche durante le campagne di Giovanna d'Arco contro gli inglesi.

 Nel 1429, appena venticinquenne, si guadagnò il titolo di Maresciallo di Francia in seguito alla strepitosa vittoria riportata dai francesi nella battaglia di Patay contro le truppe inglesi.

Morto il nonno, nel 1432 ereditò un'immensa fortuna, accumulata dal suo avo con estrema rapacità e destrezza, cui si aggiungevano le ricchezze dei de Rais e quelle della moglie, ritrovandosi così ad essere uno degli uomini più ricchi del suo tempo.

 Ritiratosi dal servizio militare, iniziò a spostarsi da un castello all'altro nei suoi domini, dandosi ad una vita opulenta e raffinata, finanziando spettacoli teatrali e dissipando il suo notevole patrimonio, per il che fu costretto ad intaccare la sua ricchezza svendendo alcuni possedimenti.

 Fu in quel periodo che, per cercare di ritrovare la fortuna, pare cominciasse ad interessarsi all'occulto, motivo per cui affidò al suo cappellano, Eustache Blanchet, il compito di procacciargli alchimisti ed evocatori di demoni.

 Fu proprio questi a recarsi in Toscana, terra a quell'epoca di grandi innovazioni, e ad incontrare a Firenze Francesco Prelati, un giovane monaco spretato aretino dedito all'occultismo, che assoldò e riportò con sé in Francia nel 1439.

Nel frattempo Gilles de Rais, ingannato più volte da lestofanti ed imbonitori che ne mettevano a nudo l'ingenuità e la credulità, aveva continuato a sperperare forti somme di denaro nel tentativo di ottenere la pietra filosofale per recuperare le proprie ricchezze.

 Prelati, invece, convinse Rais che avrebbe potuto mantenere ricchezze e potere solo sacrificando esseri innocenti ad un demone chiamato "Barron", nome inventato dallo stesso Prelati giocando sul titolo nobiliare di Rais. Questi in effetti non era nuovo all'uccisione di bambini e adolescenti maschi, pratica che aveva iniziato nel 1432 per soddisfare il suo sadico piacere sessuale. In questa attività era sempre stato aiutato dal fedele valletto Étienne Corillaut, detto "Poitou", che gli procurava i ragazzini spesso comprandoli per un tozzo di pane da famiglie di disperati.

 

Il 15 maggio 1440, Rais rapì un giovane prelato di nome Jean le Ferron, fatto che indusse il vescovo di Nantes ad indagare sui suoi crimini passati.

Dopo la liberazione di Le Ferron, nell'autunno dello stesso anno Rais fu arrestato ed il 13 ottobre cominciò il processo, basato su quarantanove capi d'accusa.

Rais, con arroganza e violenza inizialmente accusò i propri inquisitori di volerlo processare per sottrargli le sue ricchezze, quindi, sotto minaccia di tortura, confessò tutto.

 La confessione dei suoi misfatti, una volta trascritta, fece inorridire a tal punto i giudici, che i passi più espliciti non furono contemplati tra le prove.

 Secondo la confessione, Gilles avrebbe più volte mutilato, violentato ed ucciso dei ragazzi; avrebbe poi mozzato loro le membra e la testa insieme ai suoi complici, per giudicare quale fosse "la più bella" o per offrirla a Satana.

Quante siano state le sue vittime non si sa esattamente, essendo stata bruciata la maggior parte dei cadaveri, ma il numero dovrebbe aggirarsi tra gli 80 e i 200.

Rais preferiva gli individui maschi che fossero tra i sei ed i diciotto anni.

Il 26 ottobre Rais, insieme ai due servitori e complici, Henriet Griart e Poitou, fu giustiziato mediante l'impiccagione e il rogo, ma non prima di ricevere l'assoluzione dai peccati commessi da parte di un sacerdote: il nobile, infatti, era riuscito a commuovere la curia con la sua profonda contrizione.

Un episodio mostruoso che si concluse nel mattino di mercoledì 26 ottobre 1440 quando, alle nove in punto, i battenti della Cattedrale di Nantes si aprivano per lasciar uscire un solenne corteo, guidato dal Vescovo Malestroit, la mitra dorata sul capo, il pastorale in pugno, le mani guantate di bianco. Dietro di lui venivano i canonici del capitolo, i sacerdoti, i novizi, i chierichetti e poi la folla dei popolani. C'era insomma tutto l'apparato di ogni processione solenne, con cui una città festeggia la fine di una pestilenza o rende grazie per un miracolo. Ma questa volta l'occasione era ben diversa: la processione si dirigeva fuori della città e aveva come meta i prati dell'isola di Biesse: là era pronta la forca per giustiziare un uomo che si era macchiato di crimini abominevoli: Gilles de Rais, erede di una fortuna colossale, eroe nazionale alla presa di Orléans, compagno d'armi di Giovanna d'Arco, maresciallo di Francia a soli venticinque anni.

E ispiratore, secondo i più, del personaggio di Barbablù. Gilles de Rais saliva sul patibolo a soli trentasei anni: ma in un periodo cosi breve aveva vissuto con un'intensità frenetica la sua avventura, provando ad essere di tutto e il contrario di tutto: eroe militare, munifico nobiluomo, cattolico fervente, ingenuo evocatore di demoni e mostro: tra il 1432 e il 1440 alcune centinaia di fanciulli e ragazzi vennero uccisi o fatti uccidere da Barbablù, il più delle volte dopo essere stati oggetto di abusi sessuali.

 Ogni sera, dopo i sontuosi banchetti che si tenevano nel castello di Tiffauges, o in quello di Champtocé, o in un'altra delle residenze dove conduceva la sua vita errabonda, il sire di Rais si ritirava, seguito da una corte di pochi intimi, succubi e profittatori, tra i quali non mancavano mai i due servi, Henriet e Poitou, che seguiranno il loro signore fin sul patibolo. Nelle stanze del signore venivano introdotte le vittime: giovinetti del popolo, in genere attratti al castello col miraggio di entrare nella corte come paggi o servitori, di poter quindi avere abiti buoni e cibo quotidiano.

 E per questi infelici si spalancavano invece le porte di un abisso di sofferenze.

 Oggetti di abusi sessuali, prima o dopo esser torturati, venivano infine uccisi quando la furia del loro "signore" si era finalmente acquietata.

I poveri resti venivano poi bruciati o gettati nelle cantine più profonde. Si é parlato di "qualche centinaio" : la cifra é necessariamente approssimativa perché, nonostante I'accurata istruttoria condotta dai giudici e nonostante la piena confessione dell' imputato, la macabra contabilità non poté mai essere completata, data la frenetica attività di Gilles de Rais.

“le difficoltà che Gilles de Rais ed Erzsebet Bathory  dovettero superare per procurarsi vittime giovani e belle furono le stesse:gli stessi piccoli paesi dove tutto viene risaputo in ogni casa, le stesse vecchie vestite di grigio che battono le campagne dove ci sono pastorelli a guardia delle pecore, le fattorie lontane con fanciulli lasciati soli, i dintorni dei piccoli borghi dove i monelli fanno cadere le prugne a sassate, e i campi dove si semina il lino.La donna grigia, così brutta e vecchia, ripugnante ed odiata, Perrine Martin, era colei che procurava i paggi al monsignore. […]Ottocento fanciulli bruciati in sette anni. Un terzo delle notti dal 1443 al 1440 passato a uccidere, tagliare e bruciare;e i giorni a portare su e giù i cadaveri sanguinanti e mutilati, a nasconderli, secchi e neri, un po’ dappertutto sotto il fieno e negli angoli, a gettare le loro ceneri nelle acque dei fossati e a lavare il sangue e le lordure per ripetere la notte seguente il mostruoso massacro[…]Henriet attizzava il fuoco e preparava le bacinelle d’acqua per alvare il pavimento.Poitou conosceva il momento esatto in cui bisognava avvicinarsi e tagliare netta la vena giugulare del fanciullo, affinché il sangue zampillasse bene ed inondasse il padrone che abbracciava la vittima[…]per portare via il corpo aspettavano che il signore si gettasse sul letto ed iniziasse le sue litanie.[…] Alcuni giorni era in preda a furori diabolici e voleva che gli si consegnassero diversi bambini, di cui prima abusava nelle peggiori maniere e che dopo uccideva.Si rivoltolava in quelle pozze di sangue, squartava le vittime e vi si rotolava dentro. Talvolta s’inginocchiava davanti ai cadaveri che stavano bruciando e guardava i volti rischiarati dalle alte fiamme;[…]gli piaceva anche contemplare le teste in putrefazione conservate in una cassa nel sale,- le più belle , per conservarle fresche- e le baciava sulle labbra” [6]

In questo clima di violenza e di eccesso quotidiani nasce Gilles de Rais. Non si conosce la data esatta: sappiamo solo che la nascita avvenne nel castello di Champtocé, sulle rive della Loira, verso la fine dell'anno 1404. Il matrimonio dei genitori di Gilles era stato celebrato il 5 febbraio di quello stesso anno, al termine di lunghe trattative e contenziosi anche giudiziari fra tre ricchissime famiglie: quella del padre, un Laval-Montmorency; quella del nonno materno, Jean de Craon; e quella dei Rais, che si estinse nel 1407 nella persona di Jeanne Chabot, detta Jeanne la Sage. L'anziana signora, invecchiata senza eredi sulle terre disposte attorno all'estuario della Loira, presso Nantes, conosciute come "Pays de Rais", era oggetto delle attenzioni tutt'aitro che disinteressate del cugino Guy de Laval. Questi, con la scusa di perpetuare il nome dei Rais, era riuscito a farsi nominare erede universale da Jeanne Chabot. Un altro parente, Jean de Craon, riuscì a convincere l'anziana castellana che il Laval altro non era che un volgare cacciatore di patrimoni. Quali fossero i suoi argomenti, non lo sappiamo, né ci sembra da gentiluomini approfondire l'indagine. Sta di fatto che il testamento a favore del cugino Guy de Laval veniva annullato e sostituito da un nuovo testamento a favore dei Machecoul-Craon. La faccenda a questo punto fini in mano ai giudici che, prudentemente, tirarono le cose in lungo, preoccupati di non inimicarsi due famiglie ugualmente potenti. E fu un bene, perché le parti, sbollita l' ira iniziale, capirono che era meglio trovare un accordo e, attraverso un complicato intreccio di testamenti e di matrimoni di convenienza, Guy de Laval poteva fregiarsi delle insegne dei Rais, sposando una figlia dei Craon, Marie, la cui nonna, Marguerite de Machecoul, madre di Craon, diveniva erede universale di Jeanne Chabot, signora di Rais.

In breve: sarebbe difficile trovare una storia d'amore all'origine del matrimonio celebrato il 5 febbraio 1404 tra Guy de Laval-Montmorency e Marie de Machecoul-Craon. Se queste nozze fossero state celebrate al giorno d'oggi, avrebbero senza dubbio avuto il patrocinio di Mediobanca. Infatti si consolidava in questo matrimonio una fortuna immensa, nata dall'unione di tre dei piú ricchi casati di Francia.

Il giovane Gilles ebbe un'educazione non diversa da quella di tanti altri nobili rampolli. Due precettori ecclesiastici gli insegnarono a scrivere e leggere correntemente in latino. II giovinetto era un lettore entusiasta, in particolare di ciò che riguardava la romanità. La lettura della "Vita dei dodici Cesari" fu l'occasione per far la conoscenza con uno dei suoi primi "idoli": Caligola, il corrotto, I'incestuoso, il sadico, ma anche l'esteta, il prodigo, il malato di titanismo che riesce a sperperare miliardi di sesterzi risparmiati da Tiberio in quelle che al giorno d'oggi si chiamerebbero "opere pubbliche" che avevano il solo scopo di soddisfare le manie di grandezza. Nell'etica medievale era normale mostrare ciò che si definiva "exemplum ad vitandum", capace di muovere alla virtù proprio per la sua eccezionale carica negativa. Gli "exempla" apparivano al giovane Gilles invece come un affascinante programma di vita: l'eccesso, il potere, la libertà da ogni forma di vincolo morale o giuridico erano la massima espressione dell'uomo superiore. L'addestramento militare, anch'esso normale in un giovane nobile e in un'epoca in cui la guerra faceva parte del quotidiano, era seguito con entusiasmo da Gilles, che apprese a uccidere scientificamente, a trovare i punti deboli delle armature, a distinguere i vari tipi di spade, pugnali, mazze, lance.

Se le letture gli avevano fornito i modelli a cui ispirarsi, la guerra gli avrebbe offerto il campo pratico di applicazione delle sue attitudini. Rimasto orfano a soli undici anni di entrambi i genitori, il giovane Gilles trovò nel nonno materno, Jean de Craon, il suo tutore "de facto". Il vecchio Craon, che aveva perso il figlio Amaury nella battaglia di Azincourt, riversò sul nipote una strana forma di affetto dispotico e cinico. Disposto a tutto per accrescere le sostanze e la potenza del giovane Gilles, Jean de Craon non disdegnava affatto il crimine e la violenza. Veder crescere il nipote crudele, senza scrupoli, corrispondeva ai suoi piani e alla sua personalità ambiziosa. Ma il sessantenne Craon era un uomo pratico: non esitava davanti al delitto, se il delitto aveva un fine pratico chiaro e monetizzabile. Invece il nipote era un istintivo, che si disinteressava di strategie e calcoli, la crudeltà, la sopraffazione, il sadismo erano per lui esercizi della sua personalità, della sua vis interiore, svincolati da ogni previsione su conseguenze, utili o dannose che fossero.

Sedicenne, Gilles de Rais ebbe finalmente modo di essere coinvolto di persona in un fatto d'armi, seguito ai torbidi generati dall'uccisione del duca di Borgogna. Craon si schierò con i Monfort, titolari del ducato di Bretagna, contro i Penthiévre, fedeli ai Valois. Subì cosi la devastazione di alcuni feudi ad opera dei nemici, che poco dopo avrebbero amaramente ripagato le loro effimere vittorie, col trionfo dei Monfort. Le cronache ci dicono che in quest'occasione il giovane Gilles poté mostrare come aveva bene appreso gli insegnamenti dei suoi maestri d'armi, potendo finalmente uccidere e torturare legalmente. Nel frattempo il terribile nonno si stava preoccupando di trovar moglie al nipote, secondo la logica che gli era più consona: organizzare un matrimonio che servisse ad allargare ulteriormente le ricchezze e i possedimenti. La scelta cadde su Catherine de Thouars, figlia di Milet e di Béatrice de Montjean. La giovinetta, sedicenne come Gilles, portava in dote nientemeno che otto castelli. Ci volle un anno e mezzo per giungere alla celebrazione delle nozze. I due "fidanzati" erano cugini, e il vecchio Craon si appellò direttamente a Roma per vincere I' opposizione del vescovo di Angers. L'argomento di Jean de Craon era quello concreto di un uomo privo d i ogni moralità, ben accetto da una Chiesa che a sua volta era completamente immersa nel marasma dell'epoca : il danaro. Non si conosce I'entitá dell'oblazione che il messo di Craon portò a Roma; si sa però che fu così notevole da rimuovere ogni impedimento e da indurre anche il vescovo di Angers a mostrarsi più conciliante, fino a celebrare lui stesso le nozze già osteggiate, quando gli fu chiaro che anche per lui c'era posto nel banchetto. E il buon prelato era così disinteressato che I'ultimo ritardo alle nozze fu dovuto solo alle trattative sull'entità dell'offerta "spontanea" che Jeans de Craon avrebbe dovuto fare per "beneficiare i poveri" della diocesi di Angers. Il matrimonio comunque fu per Gilles de Rais un puro fatto formale, fondiario e finanziario. Una figlia, Marie, nacque dopo quasi dieci anni di matrimonio. Condannate ad un ruolo subalterno, moglie e figlia di Gilles de Rais restano ombre cancellate dalla storia, né si é mai potuto stabilire quanto la moglie fosse a conoscenza delle perversioni e dei crimini del marito.

Nel 1424, allo scoccare dei vent'anni, Gilles può assumere finalmente l'amministrazione diretta di tutto il suo immenso patrimonio, iniziando le manifestazioni di sfarzo decadente di cui amò circondarsi in tutta la sua breve ma fin troppo intensa avventura terrena. Arazzi, affreschi, profusione di vetri dipinti iniziarono a rendere meno cupi i castelli. Le eccezionali disponibilità finanziarie permisero anche al giovane sire di Rais di dare sfogo a manie di collezionismo di tutti i tipi, dagli oggetti antichi fino ai reliquiari, ai crocefissi, ai calici. A tavola si mangiava solo usando vasellame e posateria d'oro. E poiché la guerra continuava ad occupare buona parte del suo tempo, fece ornare con perle e smalti anche l'utensileria militare, e intarsiare d'oro i guanti d'acciaio delle armature. Gli abiti dovevano essere il più possibile spettacolari, più simili a travestimenti, e confezionati nelle migliori stoffe. Gilles de Rais divenne ben presto famoso per l'indifferenza assoluta con cui pagava cifre esorbitanti per togliersi ogni capriccio in materia di tessuti pregiati, o di oggetti rari, o comunque di ogni stravaganza che potesse sottolineare la sua grandezza e al tempo stesso la sua indifferenza.

Nel febbraio del 1425 Gilles fa per la prima volta la conoscenza con la corte del delfino Charles, personaggio mediocre, perennemente in crisi finanziaria. Subito l'ambiente gli appare insopportabile, penoso. Ne viene peraltro ripagato con odio e diffidenza: le sue manifestazioni di prodigalità, che giunsero fino ad imprestare considerevoli somme al re stesso, senza mai richiederle in restituzione, erano fatte con una tale distratta freddezza da attizzare i risentimenti degli stessi beneficiati.

Gilles si trovava più a suo agio sui campi di battaglia: e ben presto i rudi capitani, che diffidavano di questo giovane nobile che schierava cinque compagnie che si distinguevano per l'eleganza delle livree, dovettero accorgersi che il sire di Rais era nato per la guerra. Non solo era un ottimo comandante di uomini, ma mostrava anche un coraggio personale indiscutibile. Il nonno Jean de Craon aveva spinto il nipote alle rudezze della vita militare sperando di allontanarlo cosi dalle suggestioni "decadenti" alle quali il nipote sembrava inclinare: mai calcolo fu così sbagliato. Gilles de Rais trovò presto il suo spettacolo preferito: l'impiccagione dei collaborazionisti e di quanti operavano per gli inglesi. Assisteva personalmente ad ogni esecuzione, né si allontanava finchè la vittima non aveva esaurito tutto il tragico repertorio di spasimi, contrazioni e sussulti. II fascino della morte entrava sempre di più nell'animo del giovane signore, per il quale la guerra era l'occasione di scoprirsi una vocazione, di inventarsi una figura ed un ruolo, di tradurre in realtà le fantasie malate che si sviluppavano nel suo intimo. Non fu mai patriota, ma non fu mai spinto neanche da particolari desideri di potere o di ascesa politica. Gilles de Rais combatteva, uccideva e torturava, conducendo una guerra: la "sua" guerra. Tutto il resto, gli era semplicemente indifferente.

Nell'autunno del 1428 gli Inglesi pongono l'assedio a Orléans. E in questa contingenza, nella battaglia per liberare la città assediata, la vicenda di Gilles de Rais si intreccia con quella di un altro personaggio enigmatico: Giovanna d'Arco. La Pulzella, ispirata da Dio secondo alcuni, strumento di astuzie politiche secondo altri, era il contrario di Gilles ed era al contempo una delle poche persone che potessero intendersi con lui. Entrambi eccessivi, entrambi fanatici, l'una di fervore mistico, l'altro di freddo estetismo e di crudeltà, i due personaggi avevano molti punti in comune. A Gilles de Rais era stato affidato il comando della spedizione di soccorso alla città assediata: era l'uomo più adatto, perché all'indubbia bravura militare univa il più completo disinteresse per le trame politiche e di corte. Giovanna d'Arco scacciava le prostitute che normalmente costituivano il codazzo degli eserciti in marcia, obbligava truppa e capitani ai sacramenti, redarguiva i bestemmiatori. Gilles vedeva in Giovanna il soprannaturale portato all'abnorme e apprezzava lo sprezzo che la Pulzella manifestava con tutti, se il caso lo richiedeva. La conclusione vittoriosa delle armi francesi diede a Gilles de Rais il titolo di maresciallo di Francia e il diritto di fregiarsi delle insegne reali. Il 1° luglio 1429, quando partì il corteo reale, diretto a Reims per l'incoronazione di Charles VII a Re di Francia, il sire di Rais non aveva ancora compiuto venticinque anni: era uno degli uomini più potenti e famosi della Francia che faticosamente stava cercando l'unitá nazionale e la ricostituzione dell'autorità regia.

Sarebbe interessante, ma non é qui il luogo, ricostruire le varie fasi della battaglia per la liberazione di Orléans. Ci preme però notare come la vicenda dell'assedio e la successiva battaglia contengano in sé tutti i protagonisti e gli elementi di un'epoca in cui più nulla sembra sicuro e stabile. Abbiamo un re imbelle, peraltro non ancora incoronato, capace solo di temporeggiare; abbiamo una ragazza di vent' anni, che la tradizione vuole figlia del popolo, che ha di sicuro in sé una carica carismatica senza pari, tale da smuovere il re stesso. Ma nei pregiudizi di un'epoca in cui ormai l'unica morale era solo quella apparente, la fanciulla deve sottostare anche ad un esame di un comitato ristretto di dame d'alto lignaggio, per verificarne la verginità. Se infatti fosse stata inviata dal diavolo, come dicevano alcuni suoi detrattori, non avrebbe potuto essere, come invece verificò il comitato, "né corrotta né violentata". E mentre Giovanna inizia la sua avventura militare invocando il nome di Dio quale suo mandante, i soccorsi alla città assediata vengono organizzati sulla base di complicati equilibri politici e possono prendere il via quando viene chiarito un particolare non indifferente: che la corte reale, perennemente in crisi finanziaria, aveva ricominciato a battere moneta, avendo ottenuto gli ennesimi prestiti. C'era quindi di che pagare il "soldo" ai militari.

Lo stesso viaggio del corteo reale a Reims fu tutt'altro che una marcia trionfale; durante il tragitto, che durò per quindici giorni, le città di Auxerre, Troyes e Chalons furono convinte con sostanziosi argomenti a Iasciar passare iI regio corteo. L'incoronazione nella Cattedrale di Reims avvenne alla presenza di solo tre dei dodici pari di cui era stato richiesto l'intervento. Insomma, l'unzione solenne più che un punto di arrivo era una parentesi nel gioco politico tutt' altro che risolto che contrapponeva ancora il duca di Borgogna al re, nonché i gruppi di corte in lotta tra di loro, in una Francia in cui la presenza militare inglese era ancora pesante e fonte di tentazione per cambi di alleanze, sulla base delle convenienze di potere del momento. Non scordiamoci infatti che in un clima in cui il richiamo alla Fede era costante e quasi ossessivo, e in cui si potrebbe quindi pensare che gli stimoli ideali fossero comunque determinanti, era assolutamente normale (come avvenne per la stessa liberazione di Orléans che i nobili sottoscrivessero col re o con i suoi procuratori dei regolari contratti in cui venivano meticolosamente fissate le retribuzioni dei capitani e della truppa, il numero di armati che il nobile si impegnava a mettere in campo, i premi in caso di vittoria, e cosi via. Sicché la fedeltà alla corona, che si voleva legittimata da Iddio stesso, passava sempre attraverso lo studio del notaio e l'ufficio del tesoriere.

L'inattività seguita alla liberazione di Orléans e all' incoronazione del re mal si confacevano a Gilles de Rais e a Giovanna d' Arco, spinti entrambi, da diverse motivazioni, a continuare a combattere. Entrambi insistettero con il re per attaccare Parigi e il re li autorizzò. Ma segretamente, per poterli "scaricare" in caso di necessità. La spedizione si risolse in un nulla di fatto, il 13 settembre 1429, con un improvviso ordine regio di ripiegamento, dopo un sabotaggio ordito, secondo i più, dallo stesso cugino di Gilles de Rais, La Tremoille, potente e intrigante ministro del re.

Mentre a Giovanna d' Arco veniva concesso di sfogare le sue frenesie belliche con una sorta di piccola guerra contro la città di Saint-Pierre-le-Moustier (che non suscitava gli appetiti di alcuno e quindi poteva servire a togliersi di torno la sempre più ingombrante Pulzella), Gilles de Rais rientrava a Champtocé dove apprendeva, con la massima indifferenza, che la moglie Catherine aveva messo al mondo una bimba, cui fu dato il nome di Marie. Gilles era insoddisfatto e inquieto. Lo sfogo militare era, almeno temporaneamente, sospeso, e con esso anche lo sfarzo, l'esibizione di sé stesso che sempre accompagnava le sue imprese. Come molti reduci il sire di Rais faticava a riprendere i ritmi di una vita normale, con l'impossibilità di scaricare su oggetti adeguati il gusto della violenza, contratto ormai come una malattia cronica. Inoltre per la prima volta Gilles si accorse che le sue casse languivano: il soldo ai capitani e alla truppa era stato superiore ai rimborsi regi. E fu sulla fine di quel 1429 che il sire di Rais mise in vendita il castello di Blaison: é il primo atto di una liquidazione di beni che qualche anno più tardi assumerà cadenze sempre più serrate e rovinose. Del resto Gilles neppure pensava di potersi privare dello sfarzo che doveva far da contraltare alla sua insoddisfazione: e riprese le spese folli per collezioni sempre più stravaganti, per un lusso maniacale nelle pretese di perfezionismo e per alimentare la piccola corte che lo seguiva ovunque, fatta di servi e profittatori, di adulatori laici e religiosi, di quella stessa varia umanità dalla quale trarrà poi i complici per i suoi crimini.

La situazione politica era però ancora in movimento. All'inizio del 1430 il reggente inglese, Bedford, cercò un'alleanza col duca di Borgogna contro il re Charles. Ne seguirono altri due anni di guerre e di torbidi (nel corso dei quali avvenne anche la cattura di Giovanna da parte del duca di Borgogna, che poi la vendette agli inglesi per lire diecimila) che s i conclusero con la battaglia di Lagny, nella bassa Marna, non lontano da Parigi. Qui l'esercito francese, ancora una volta sotto il comando di Gilles de Rais, schierò diecimila uomini, costrinse gli inglesi allo scontro aperto e li vinse. Eravamo alla fine del 1431.

Nell' autunno dell' anno successivo Jean de Craon si ammalava e moriva. Gilles aveva sempre subito l'autoritá del vecchio ribaldo che, solo al tramonto, incominciava ad intuire il mostro che stava maturando in quel nipote in cui aveva riposto tutte le sue speranze. Con un ultimo gesto patetico, il vecchio volle lasciare le sue armi al fratello minore di Gilles, René, quasi a dargli una tardiva investitura. Ma ormai per Gilles, con la morte del nonno, cadeva l'ultimo ostacolo alla totale ed esaltante libertà; ma nel contempo, nel suo animo di adolescente mai maturato, si apriva un enorme vuoto. Sopraggiunse un altro avvenimento pubblico a rinchiuderlo ancor più nel circolo privato delle sue ossessioni: la caduta di La Tremoille, suo protettore a corte, la cui carriera politica fu interrotta dalla regina Yolande con lo sbrigativo ed efficace sistema dell' accoltellamento. Fu per l'incapacitá dei sicari o, come dicono alcuni, per l'obesitá da tricheco del ministro, che l'attentato non fu mortale. Sta di fatto che, secondo lo spirito pratico dell'epoca, l'ex-potente fu convinto a ritirarsi dalla scena politica in cambio della vita, con l'aggiunta, che non guastava mai, di quattromila scudi d'oro. Ora Gilles era completamente solo. Solo con sé stesso, con le sue ossessioni. E per sua stessa confessione fu in quel periodo che iniziò la sua tremenda attività di mostro.

Il primo fanciullo che scomparve fu Jean Jeudon, dodicenne apprendista del pellaio di Machecoul, Guillaume Hilariet. Il buon artigiano non aveva alcun motivo di sospettare nulla quando nella sua bottega si presentò un personaggio altolocato, che faceva parte normalmente del seguito del sire di Rais, Gilles de Sillé. Questi gli chiese "in prestito" il ragazzo per mandare un messaggio urgente al castello. I1 ragazzo parti, emozionato dall' incarico e con la speranza di ricevere un premio. A sera non era ancora tornato e il pellaio, con l'umiltá dovuta per le differenze di rango, si permise di chiedere notizie. E iniziarono cosi le prime risposte vaghe, che sarebbero poi state ripetute per decine, centinaia di volte, con la signorile seccatura che un cavaliere doveva pur mostrare verso un popolano. Che ne era del ragazzo? Forse era stato mandato per una commissione in un villaggio vicino. Ma forse per la strada era stato rapito dai briganti. O forse, non si era sentito parlare di un fanciullo annegato nel fiume? Più volte si parlò anche di un misterioso cavaliere scozzese" che aveva reso con sé il fanciullo per farne un paggio. Che c' era dunque da preoccuparsi? Il ragazzo andava a star bene....

L'elenco delle nefandezze a cui erano sottoposti i fanciulli e, più raramente, le fanciulle, é francamente orrendo e si evince dagli atti processuali, che raccolgono la completa confessione di Gilles de Rais e dei due servi, Henriet e Poitou, che seguirono il loro padrone in tutte le possibili crudeltà e bassezze e che lo seguiranno poi sulla forca. Ma bisogna dire che, se i due servi erano i "fedelissimi", le persone ammesse ad assistere, e talora a partecipare, agli infernali riti notturni erano ben di più. La variegata corte del sire di Rais non ignorava ciò che accadeva nelle stanze in cui le torce restavano accese fino a notte fonda: ma il processo colpi Gilles de Rais, troppo smisurato nel suo crimine, e i due servi, troppo umili per salvarsi. Le ragioni di convenienza lasciarono in libertà non pochi complici. Col tempo poi lo stesso atto sessuale contro natura venne a noia e i riti notturni erano dedicati, per lo più, all'uccisione, alla tortura, al sadismo più scatenati. Poi passava la notte, sorgeva di nuovo il sole e Gilles de Rais tornava ai suoi nuovi tormenti diurni: quelli mistici. In un incredibile miscuglio, Barbablù finanziava un gruppo di cantori della Cappella di Machecoul, che tenevano bellissimi concerti di musica sacra. Ma i cantori erano tutti giovinetti "graziosi, di modi gentili ed educati". Non mancava mai alla Messa, ma intanto si interessava all'alchimia ed alle evocazioni diaboliche, cadendo vittima di due profittatori, il prete corrotto Blanchet e un astuto furfante fiorentino, Francesco Prelati, che lo aveva convinto di essere in contatto con un diavolo, di nome Barron, dal quale Gilles sperava anche di trovare un rimedio alle situazione sempre più drammatica delle sue finanze.

Siamo nel 1437 quando le voci sul sire di Rais sono ormai troppo insistenti e costringono il vescovo di Nantes ad inviare investigatori nelle varie residenze di Gilles per accertare cosa ci sia di vero in racconti che paiono frutto di fantasie malate. Quel buon prelato condusse inizialmente l' inchiesta in modo un po' fiacco, anche perché era stato uno dei maggiori profittatori delle svendite che Gilles de Rais continuava a fare delle sue proprietà e pare fosse ancora debitore di saldi che l'interessato non si sognava neanche di chiedere, perso com'era nei suoi fantasmi. Ma l'inizio delle investigazioni costringe Gilles e i suoi fedelissimi ad una frenetica attività di occultamento dei cadaveri non bruciati. Non sono sufficientemente veloci: troppe erano le vittime e con troppa noncuranza erano state gettate nelle cantine o nelle latrine dei castelli prima di adottare prendere l' uso, più prudente, di bruciare quei poveri resti nei camini.

Iniziano i primi ritrovamenti di resti umani: le voci erano vere. E il 14 settembre 1440 il maresciallo di Francia Gilles de Rais viene arrestato su ordine del vescovo Malestroit, avendo commesso reati che erano di competenza dell'autorità ecclesiastica: eresia, orribili evocazioni (del demonio), sodomia. Restava di competenza dell'autorità civile il reato di omicidio. Ma già erano sufficienti le violazioni alla legge ecclesiastica per consegnare Gilles al boia.

 

L'impiccagione concluse la carriera del mostro: ma non si deve pensare che la pubblica esecuzione fosse stata accompagnata dalla soddisfazione della folla, come spesso accade quando viene giustiziato chi si é macchiato di crimini particolarmente abietti e come, a maggior ragione, doveva avvenire quando il criminale apparteneva alla nobiltà, alla casta quasi sempre intoccabile.

Al contrario: le cronache dell'epoca ci parlano di una giornata di "edificazione" perché Gilles de Rais aveva saputo, anche in punto di morte, essere protagonista.

 Reo confesso dei suoi crimini, si era calato cosi efficacemente nella parte del pentito, da giungere a commuovere i giudici e la folla. E le sue ultime parole, davanti al boia, furono di affidamento alla Divina Provvidenza. Nessuno può dire quanto ci fu di sincero in questo pentimento e quanto fu invece espressione della malattia mentale che rodeva il sire di Rais. Di sicuro anche in tribunale e anche sul patibolo aveva saputo (o voluto) essere un personaggio inclassificabile, centrifugo, unico.

Sul finire del secolo scorso un religioso francese, l'abate Eugène Brossard, si recò a Nantes per prendere conoscenza dei documenti e perlustrare i luoghi storici in cui era vissuto Gilles de Rais. Intenzionato a scriverne la biografia, l'abate visitò meticolosamente le terre che furono un tempo il dominio del sire di Rais. Si andava dal sud della Bretagna, a cavallo dell'estuario della Loira a Nantes, al Poitou e all'Anjou. In questi vasti domini, dove restavano e restano tuttora le rovine dei castelli di Tiffauges, Champtocé, Pouzauges, Machecoul, l'abate fece una scoperta: nella fantasia popolare il ricordo di Gilles de Rais si era confuso e poi sovrapposto con quello del Barbablù di Perrault. La storia del conte sadico uxoricida é molto antica e faceva parte della tradizione orale ben prima che Perrault, due secoli dopo i misfatti di Gilles de Rais, scrivesse la sua nota fiaba. Gilles de Rais si sposò, una sola volta, e il suo matrimonio fu, come vedremo, un avvenimento del tutto marginale nella sua vita. La sua furia sadica é di tipo omosessuale, mentre il personaggio della fiaba rivolge alle mogli i suoi istinti omicidi (uccidendone sette, numero biblico che indica una gran quantità). Ma, come ci dice l'abate Brossard "...non esiste madre o balia che nei suoi racconti abbia esitazioni sui luoghi abitati da Barbablù: i castelli che furono di Gilles de Rais (...). Numerosi sono i vecchi che abbiamo interrogato in quei paesi, e i loro racconti sono unanimi...."

In particolare presso le rovine di Tiffauges si indicava addirittura la finestrella di una stanza: era li che Barbablù sgozzava le sue vittime. Cosi il mostro vero e quello della fiaba (che, più pudicamente, é mostro ma almeno non é omosessuale) si sono nei secoli mischiati e confusi. Chi fu, nella storia, Gilles de Rais? Un pazzo, senza dubbio. Un mostro, senza dubbio. Come altrimenti potremmo classificare I' artefice di una paurosa mattanza di giovinetti? Fu anche, senza dubbio, il sinistro prodotto di un'epoca di disfacimento. Se purtroppo personaggi come Gilles esistono e probabilmente sempre esisteranno, é pur vero che il momento storico in cui visse permise che i crimini durassero nove lunghi anni (anche se la vox populi ne parlava da molto tempo prima) e in un certo senso favori anche lo sviluppo della malattia.

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E Gilles de Rais volle vivere il processo, ultimo atto di una vita smisurata, in modo smisurato. Da mostro esecrando divenne pentito acceso dalla fede. E infatti, ammettendo tutti i suoi crimini, si dilungò a raccomandare si genitori di esser vigilanti sui loro figli, perché crescessero nella Fede, senza indulgere alle mollezze e ai vizi. Una sola cosa chiese "in ginocchio, con umiltà e lacrime" ai suoi giudici: che gli venisse ritirata la scomunica, perché egli, nel suo vagare confuso tra alchimie ed evocazioni diaboliche, mai aveva perso nozione del fatto che la Salvezza é solo Nostro Signore e la Sua Chiesa. I giudici gli ritirarono la scomunica. Non solo. Quando il suo corpo si distese nell'immobilità, dopo i fremiti dell' mpiccagione, venne adagiato in una bara e "accudito da damigelle di alta condizione". Venne portato nella chiesa dei carmelitani, per l'ufficio religioso, e poi sepolto nella Chiesa di NotreDame des Carmes, a Nantes.

E i due servi, Henriet e Poitou? Troppo umili: fu concesso loro di pentirsi, ma i loro corpi furono poi dati alle fiamme e le ceneri disperse. Tre secoli e mezzo dopo, la Rivoluzione Francese suscitò anche a Nantes disordini e saccheggi e anche la chiesa di Notre-Dame des Carmes fu devastata. Le tombe furono scoperchiate e, in una sorta di postuma giustizia, i resti di Barbablù andarono a confondersi con la terra e col vento.

E gli orgogliosi castelli, per i quali il vecchio Jean de Craon tanto aveva brigato, con ogni mezzo lecito ed illecito? Subirono danni irreparabili nel corso delle ultime lotte feudali ed ancor oggi emergono nelle campagne, rovine abbandonate e neri monconi di torri sbrecciate. Tra quelle desolanti rovine il primo biografo di Gilles de Rais, l'abate Brossard, trovò ancora, nel secolo scorso, resti di ossa umane.[7]

 

Nel Medio Evo non mancano sanguinarie figure di vampiri ante-litteram fra loro, uno dei più famosi eroi militari del 1400: Gilles Lavai de Rais.
Egli fu uno dei primi e più terribili ed efferati assassini seriali: barone di Rais, signore brètone, compagno di Giovanna d'Arco nella guerra contro gli Inglesi; durante la guerra dei cento anni, De Rais ebbe un ruolo chiave come generale degli eserciti francesi.
Giovane, ambizioso, ricco e senza scrupoli, fu più tardi nominato da Re Carlo VII maresciallo di Francia nel 1433; Gilles si ritirò nel proprio castello in Bretagna e fu in questo priodo che iniziò la sua strada di sangue.
Si convinse di dover bere sangue di fanciulli per ottenere ricchezza e immortalità.
Furono 149 le sue vittime, tra il 1433 e il 1440 uccise e fece uccidere decine e forse centinaia di bambini e di ragazzi.
Nessuno, a quel tempo, faceva molto caso alla quantità di bambini del popolo che sparivano.
De Rais uccideva bambini dopo averli schiavizzati torturati ed averne abusato sessualmente con tecniche raccapriccianti. Una spedizione d'indagine ritrovò i resti di 50 corpi di bambini, straziati nei modi peggiori.
Al processo, che nel 1440 concluse la sua carriera criminale, i giudici ordinano che fosse velato il Crocifisso dell'aula.
Confessò l'omicidio di più di 140 di questi bambini nonchè le sue passioni per la magia nera, l'alchimia e l'evocazione di diavoli.
Fu arso vivo insieme ai suoi due servitori-complici.
Fu tanto efferato da ispierare Perrault per creazione della figura di Barbablù.

La vicenda di Gilles de Rais continua ad alimentare una pubblicistica imponente, a tentare drammaturghi e registi, a sollecitare opere letterarie, riflessioni saggistiche. È una storia che ci sembra insondabile, immersa nei suoi angosciosi misteri, refrattaria ad ogni indagine storica e psicologica; e nello stesso tempo novecentesca, contemporanea, come se soltanto oggi disponessimo degli strumenti adatti per analizzarla. Ha un suono che crediamo di riconoscere e di capire meglio di altre epoche, che ci rimanda alle imprese dei serial killers e della pedofilia internazionale, assassina anche quando non arriva al delitto. La domanda è sempre la stessa, anche se può suonare lievemente retorica: è questo l’uomo.

 

Citazioni nella letteratura [

  • Nella tradizione popolare Gilles de Rais divenne Barbablù, per via della sua barba nera dai riflessi bluastri, personaggio fissato verso la fine del Seicento dallo scrittore di corte Charles Perrault nei suoi Contes de ma mère l'Oye.
  • Durtal, protagonista di Là-bas, romanzo di Joris Karl Huysmans, è un esteta ossessionato dalla figura immorale di Gilles de Rais.
  • Gilles de Rais compare tra i protagonisti del romanzo di Valerio Evangelisti Mater Terribilis, del ciclo di Eymerich.
  • Gilles de Rais viene citato nel romanzo Les fleurs blues di Raymond Queneau

 



[1] Bibliografia:

Galimberti, Dizionario di Psicologia, De Agostani


Pietrantoni L., Sadomasochismo e feticismo: aspetti clinici e psicosociali, Ric. Sessuologia, vol. 30 2006, CIC

 

[2] (tratta da sito internet : http://www.ordinedeldrago.it   Copyright Ordine del Drago – tutti i diritti riservati )

 

[3]  Vlad III di Valacchia (Sighişoara2 novembre 1431 – dicembre 1476) è stato un principe rumeno. Vlad III, conosciuto anche come Vlad Ţepeş (pronuncia: /tsepeʃ/) o Vlad l'Impalatore fu, a più riprese, principe di Valacchia: nel 1448, dal 1456 al 1462 ed infine nel 1476.  Grazie al suo dominio, il principato di Valacchia riuscì a mantenere la sua indipendenza dall'Impero Ottomano. La crudeltà nei confronti dei prigionieri gli valse il soprannome di Ţepeş, che in Rumeno significa l'Impalatore.

 Il suo strumento di tortura preferito era l'impalamento.
I metodi d'impalamento erano sostanzialmente due, il primo consisteva nell'uso di un'asta appuntita che trafiggeva il condannato all'altezza dell'addome per poi issarlo in alto. La morte poteva essere immediata o sopraggiungere dopo ore di agonia. Il secondo metodo d'impalamento consisteva nell'utilizzo di un'asta arrotondata all'estremità che cosparsa di grasso veniva inserita nel retto della vittima che poi veniva issata e tenuta infilzata, il peso stesso del poveretto faceva penetrare l'asta all'interno del corpo e la morte sopraggiungeva dopo anche due giorni di lenta agonia. Adottò questo metodo dai turchi, adattandolo alle sue più specifiche richieste: creò metodi diversi per impalare i ladri, i guerrieri nemici, gli ambasciatori del Sultano, i traditori.

  • I ricchi venivano impalati stendendoli più in alto degli altri o facendo ricoprire l'asta d'argento.
  • Per i mercanti fece incidere delle tacche sull'asta, al fine di aumentare il tempo dell'agonia.
  • Nella città di Sibiu, nel 1460 Vlad Ţepeş fece impalare 10.000 persone, e cosparse alcuni corpi con miele per attirare ogni tipo di insetto.
  • Nel 1459, durante il giorno di San Bartolomeo, a Braşov, Dracula fece invitare a palazzo alcuni mercanti che avevano mostrato odio e disprezzo nei confronti della sua persona. Decise di farli saziare di cibo e, quindi, fece sventrare il primo e obbligò il secondo a mangiare ciò che il collega, ormai senza vita, aveva nello stomaco. L'ultimo mercante venne fatto bollire e la sua carne fu data in pasto ai cani.
  • Nel 1461 un ambasciatore del Sultano turco arrivò nel palazzo, si prostrò ai piedi di Vlad III, ma non si volle togliere il turbante perché rappresentava il simbolo della propria religione. Dracula, irritato da quel gesto, ordinò di inchiodare il turbante alla testa dell'ambasciatore.

C'è anche d'aggiungere che Dracula fu estremamente generoso con chi lo servì ma estremamente crudele con chi lo tradiva. Ma finché egli fosse servito e riverito, nessuno avrebbe dovuto temerlo.(da : Wikipedia ,Enciclopedia pubblica)

 

 

 

[4] da : Valentine Penrose – La contessa sanguinaria )

 

[5] tratte da: http://it.wikipedia.org

 

[6] Da” La contessa sanguinaria” Valentine Penrose

 

 

[7] Da “Gilles de Rais” di MARCO LAMBERTINI

 

 
 
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